Ritratto di Nino Maioli

A chi lo vede misurare a lunghi passi le strade di Ravenna assorto nei suoi pensieri, appare un tipo chiuso e distante. E in effetti è essenzialmente un solitario: immerso in non brevi silenzi, ama i libri e la montagna; non dà molta confidenza e non apprezza chi se ne prende; non parla quasi mai di sé e meno che mai della sua musica.

Nino Maioli vive per la musica. Segnato da una dedizione totale, non è infrequente che si alzi nel cuore della notte per ripetere ossessivamente al pianoforte, sfiorando appena i tasti, un passo da inserire o correggere in sue composizioni. Un’idea può coglierlo in qualsiasi momento della giornata: ecco allora l’appunto fermato sul retro di una cedola libraria o a margine del foglietto di un farmaco.

Perennemente insoddisfatto, nella maturità lavora non tanto a creare opere nuove quanto a una continua revisione di quelle giovanili. In tournée è spesso tentato di modificare qualche battuta di un suo brano tra un concerto e l’altro, ma lo dissuadono le proteste della moglie, Maria Giovanna Loperfido, che quelle musiche deve cantare.

La spinta insopprimibile a un ritoccare senza fine gli preclude anche l’opportunità di vedere consacrate dalla pubblicazione le proprie fatiche. «Egregio Maestro, dal nostro incontro a tutt’oggi non ho ancora avuto il bene di ricevere quanto mi aveva promesso» gli scrive il 4 febbraio 1954 il direttore di Ricordiana, la rivista musicale della Casa Ricordi, intenzionato a esaminare alcune sue cose. «Forse Le è di ostacolo la Sua esemplare riservatezza, ma infine io direi di non esagerare neanche in questa pure ammirevole qualità.» Quando l’editore Bongiovanni dà alle stampe una delle sue liriche su testo di Prampolini, Rose, lui in seguito chiede e ottiene che sia ritirata; e riprende ad apportare varianti su varianti, direttamente sullo spartito.

La sua frequentazione della tradizione musicale è incessante, e profonda la sua capacità di analisi delle strutture; capacità che sa lucidamente trasmettere agli allievi, come ricordano ancora oggi Paolo Fabbri, Alberto Cristani, Greca Maria Greco. È un cultore di Wagner, ma apprezza anche i musical americani. Studia a fondo Schönberg e gli altri della scuola di Vienna. Nella sua vasta collezione di dischi a 33 giri spiccano Mahler, Bartók e lo stesso Schönberg, insieme a Bach, Vivaldi, Händel. Tra Verdi e Rossini è senza esitazione per il secondo, nelle opere del quale – dice – non c’è mai una nota di troppo. I concerti trasmessi alla televisione li segue ritto sul bordo della poltrona, impegnato a dirigere con il dito indice per bacchetta proprio come se si trovasse sul podio in quel momento.

Il silenzio del quale si circonda è lo spazio ideale che riempie con la sua musica. Ama i libri e la montagna, si è detto. Bibliofilo, è esperto conoscitore e collezionista di libri antichi, maneggiati con cura sacrale nel chiuso del suo studio, dove si cammina con difficoltà scavalcando pile di volumi e carte. Meta preferita per la passeggiata, soprattutto negli anni della pensione, la Libreria antiquaria di Matteo Tonini. Dalla quiete delle scaffalature alla pace assoluta delle cime montane – scalatore, ne ha conquistate anche di importanti – il passo non è poi così lungo.

È noto per la laconicità. Parente alla lontana del grande anagrammista don Anacleto Bendazzi, noto a sua volta per non sprecare le parole, è con lui protagonista di un aneddoto probabilmente autentico. Entrambi in villeggiatura a San Marino, i due si trovano casualmente seduti vicini, come mai capitato prima, ai tavolini di un caffè. Uno dice, senza preamboli: «Se non sbaglio siamo parenti». E l’altro: «Sì».

La politica lo appassiona per un certo tempo. Antifascista segnalatosi per un’attività preziosa quanto pericolosa, come si evince anche da testimonianze di Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini, è stato assessore nella prima Giunta comunale successiva alla Liberazione e ha militato a lungo nel Partito socialista di Nenni. Poi subentrano le delusioni e se ne allontana.

Da un certo momento in poi conduce un’esistenza ritirata. Uomo di una rettitudine granitica, d’altri tempi, come si usa dire, è alieno da compromessi. E da irriducibile si isola nel suo universo privato, tra gli affetti familiari e un dialogo sempre intenso con i grandi maestri del passato, scientemente condannando i potenti corni e l’arpa sognante del Notturno dedicato alla sua città, il coro e le tre voci maschili dell’incompiuto Re Lear a restare muti sulle pagine manoscritte. Esito ultimo, e in fondo coerente, di una vita composta sul tema del silenzio.